La dolce vita
8,1
1960
Regia: F.Fellini
Genere: Drammatico
CAST
Polidor
Marcello Mastroianni
Anita Ekberg
Anouk Aimée
Yvonne Furneaux
Magali Noël
Alain Cuny
Annibale Ninchi
Walter Santesso
Valeria Ciangottini
Audrey McDonald
Jacques Sernas
Lex Barker
Laura Betti
Enzo Cerusico
Adriano Celentano
Riccardo Garrone
Nadia Gray
Renee Longarini
Gianfranco Mingozzi
Enzo Doria
Giulio Paradisi
Harriet White
Giulio Girola
Else Knorr
Christine Graefeck
Angela Giavalisco
Marta Melocco
Paola Petrini
Maurizio Guelfi
Winie Vagliani
Giuseppe Addobbati
Romolo Giordani
Ada Passeri
Gianni Querrel
Mara Mazzanti
Remo Benedetti
Desmond OGrady
Ignazio Balsamo
Lucia Modigliani
Liana Orfei
Gianni Baghino
Ida Bracci
Armando Annuale
Aldo Vasco
Teresa Tsao
Giulio Citti
Angela Wilson
Francesco Lori
Loretta Pepi
Libero Grandi
Yami Kamadeva
Nina Hohenlohe
April Hennessy
Antoinette Weynen
Noel Sheldon
Umberto Orsini
Oretta Fiume
Isabella Sodani
Gino Talamo
Oliviero Prunas
Alain Dijon
Mino Doro
Adriana Moneta
Gloria Henry
Lilly Granado
Gloria Jones
Cesarino Miceli
Thomas Torres
Carlo Di Maggio
Anna Maria Salerno
Maria Teresa Vianello
Andrea De Pino
Adele De Rossi
LA DOLCE VITA
Anno 1960
Altri titoli LA DOUCEUR DE VIVRE
THE SWEET LIFE
Durata 180
Origine FRANCIA, ITALIA
Colore B/N
Genere DRAMMATICO
Specifiche tecniche TOTALSCOPE
Produzione RIAMA FILM - PATHE' CONSORTIUM CINEMA - GRAY FILM - SOCIETE' NATIONALE PATHE' CINEMA
Distribuzione CINERIZ (1960/1980) - DOMOVIDEO, NUOVA ERI, MONDADORI VIDEO, MULTIGRAM, L' UNITA' VIDEO - DVD: CINEMA FOREVER
Riedizione Si
Vietato 14
Regia
Federico Fellini
Attori
Marcello Mastroianni Marcello Rubini
Anita Ekberg Sylvia
Anouk Aimée Maddalena
Yvonne Furneaux Emma
Magali Noël Fanny
Alain Cuny Steiner
Annibale Ninchi Padre Di Marcello
Walter Santesso Paparazzo
Valeria Ciangottini Paola
Audrey McDonald Jane
Jacques Sernas Il Divo
Lex Barker Robert
Laura Betti Laura
Enzo Cerusico Fotografo
Adriano Celentano Cantante Rock
Riccardo Garrone Riccardo
Nadia Gray Nadia
Renee' Longarini Signora Steiner
Gianfranco Mingozzi Il Pretino
Enzo Doria Fotografo
Giulio Paradisi Fotografo
Polidor Il Clown
Harriet White Edna, Segretaria Di Sylvie
Giulio Girola Dr. Lucenti
Carlo Di Maggio Toto' Scalise, Produttore
Else Knorr
Christine Graefeck
Angela Giavalisco Donna All'Aeroporto
Marta Melocco
Paola Petrini
Anna Maria Salerno Amica Della Prostituta
Maurizio Guelfi Giornalista
Winie Vagliani
Giuseppe Addobbati
Romolo Giordani Uomo Al Castello
Ada Passeri Donna Nella Sequenza Del Miracolo
Gianni Querrel Uomo Al Night
Mara Mazzanti Donna All'Aeroporto
Remo Benedetti
Maria Teresa Vianello Donna All'Aeroporto
Desmond O'Grady Ospite Di Steiner
Ignazio Balsamo
Lucia Modigliani
Liana Orfei
Gianni Baghino
Ida Bracci Dorati
Armando Annuale
Aldo Vasco
Teresa Tsao Donna Al Night
Giulio Citti Uomo Al Night
Angela Wilson Donna In Via Veneto
Francesco Lori Uomo Nella Sequenza Del Miracolo
Andrea De Pino
Loretta Pepi
Libero Grandi
Yami Kamadeva
Nina Hohenlohe Donna Al Castello
April Hennessy Donna In Via Veneto
Antoinette Weynen
Noel Sheldon Uomo In Via Veneto
Umberto Orsini
Oretta Fiume
Adele De Rossi
Isabella Sodani
Gino Talamo
Oliviero Prunas
Alain Dijon Frankie Stout
Mino Doro Amante Di Nadia
Adriana Moneta Prostituta
Gloria Henry Donna In Via Veneto
Lilly Granado Lucy
Gloria Jones Gloria
Cesarino Miceli Picardi Signore Al Dancing
Thomas Torres Giannelli, Giornalista In Ospedale
Soggetto
Federico Fellini
Ennio Flaiano
Pier Paolo Pasolini
Tullio Pinelli
Brunello Rondi
Sceneggiatura
Federico Fellini
Ennio Flaiano
Pier Paolo Pasolini
Tullio Pinelli
Brunello Rondi
Fotografia
Otello Martelli
Musiche
Armando Trovajoli
Nino Rota
Montaggio
Leo Catozzo
Scenografia
Piero Gherardi
Costumi
Piero Gherardi
Trama Marcello è un giornalista che scrive per un rotocalco articoli mondani, in cui figurano fatti e personaggi, noti nell'ambiente di Via Veneto. L'attività professionale lo ha portato ad adottare un sistema di vita molto simile a quello dei suoi personaggi. Così egli passa con indifferenza da una relazione all'altra: mentre convive con Emma non rinunzia ad altre avventure. Ha una temporanea relazione con Maddalena, giovane ricchissima, annoiata della vita, sempre in cerca di sensazioni. L'arrivo di Sylvia, celebre attrice americana, gli fornisce occasione di nuove esperienze sentimentali. Per dovere professionale Marcello si occupa di una falsa apparizione della Madonna, inventata da due bambini dietro istigazione dei genitori. Partecipa ad una festa organizzata da alcuni membri della nobiltà che gli dà modo di accertare il basso livello morale di quell'ambiente. Marcello è amico di Steiner, un intellettuale che riunisce nel suo salotto artisti e letterati. La felice vita familiare dell'amico lo impressiona favorevolmente perché accarezza l'idea di sposare Emma per iniziare con lei un'esistenza più regolare e tranquilla. Ma qualche tempo dopo Marcello apprende che Steiner, in una crisi di sconforto, si è ucciso, dopo aver soppresso i suoi due bambini. Per superare l'orrore destato in lui dal tragico fatto, Marcello, si getta, senza alcun ritegno, nel turbine della vita mondana. Dopo un'orgia, che ha lasciato in tutti tedio e disgusto, Marcello incontra per caso sulla spiaggia una giovinetta dallo sguardo limpido e innocente, e cerca invano di capire quanto ella gli dice; un canale li divide e non afferra le sue parole, perciò segue i suoi squallidi amici.
Note - COLLABORAZIONE ALLA SCENEGGIATURA: BRUNELLO RONDI.
- ASSISTENTE ALLA FOTOGRAFIA: ENNIO GARNIERI.
- PREMI:(1960) DAVID DI DONATELLO PER MIGLIORE REGISTA A FEDERICO FELLINI, PALMA D'ORO AL FESTIVAL DI CANNES (MIGLIOR FILM), FIPRESCI AL FESTIVAL DI ACAPULCO, NASTRO D'ARGENTO PER MIGLIOR SOGGETTO ORIGINALE, ATTORE PROTAGONISTA (MARCELLO MASTROIANNI) E MIGLIOR SCENOGRAFIA.
Critica " Come cinegiornale, il film è splendido: divertente e tragico, mosso e svariante. E' nella sua estrema libertà di composizione, ricchissimo: senza principio né fine, così stratificato, è lungo tre ore e potrebbe durarne due o sei. Immagine del caos, sembra caotico ed è calcolatissimo; e il suo linguaggio è tenero e aggressivo, smagliante e profondo. Infallibile, viene la tentazione di dire: quasi che il dinamico e pittoresco barocchismo di Fellini avesse raggiunto - non sembri una contraddizione - un classico rigore." (Morando Morandini, "La Notte", 6 febbraio 1960)."Pur tenendosi costantemente a un alto livello espressivo, Fellini pare cambiar maniera secondo gli argomenti degli episodi, in una gamma di rappresentazione che va dalla caricatura espressionista fino al più asciutto neorealismo. In generale si nota un'inclinazione alla deformazione caricaturale dovunque il giudizio morale si fa più crudele e più sprezzante, non senza una punta, del resto, di compiacimento e di complicità, come nella scena assai estrosa dell'orgia finale o in quella della festa dei nobili, ammirevole quest'ultima per sagacia descrittiva e ritmo narrativo." (Alberto Moravia, L'Espresso", 14 febbraio 1960). " C'è una certa monotonia, sia pure assai colorita, di tipi, di scorci, di accenti. Se codesta monotonia fosse stata soltanto apparente, e allora calibrata in un suo ritmo rigoroso, dalla sordina sempre più ossessiva, tutto ciò avrebbe potuto avere un'altra sua non meno straordinaria efficacia. Così, invece, i tipi si stingono talvolta l'uno sull'altro, o si ricalcano. Dovrebbe giustificarli un loro minimo comun denominatore; ma questo è così esplicito che, lungo il cammino, per forza di cose si attenua, e si fa risaputo." (Mario Gromo, "La Stampa", 6 febbraio 1960). " Il film - uno dei film più terribili, più alti. e a modo suo più tragici che ci sia accaduto di vedere su uno schermo - è la sagra di tutte le falsità, le mistificazioni, le corruzioni della nostra epoca, e il ritratto funebre di una società in apparenza ancora giovane e sana che, come nei dipinti medioevali, balla con la Morte e non la vede, è la "commedia umana" di una crisi che, come nei disegni di Goya o nei racconti di Kafka, sta mutando gli uomini in "mostri" senza che gli uomini facciano in tempo ad accorgersene." (Gian Luigi Rondi, "Il Tempo", 5 febbraio 1960). "E sbigottiamo anche noi. Due volte. La prima perché non è possibile affacciarsi senza un brivido su questa babilonia disperata che Fellini ha dipinto senza abbandonarsi a sciocchi anatemi, senza volerle infliggere altra punizione che quella di vedersi allo specchio in tutti i più minuti particolari. La seconda perché siamo di fronte a un cinema altissimo per originalità di linguaggio, aggressività di stacchi e cadenze, incisiva compiutezza di immagini; un cinema che, superando i confini riconosciuti, ci mostra risultati la cui vastità era nota finora solo alla grande letteratura e alla grande musica (a proposito: magnifico per incalzante funzionalità il commento musicale di Nino Rota). (Guglielmo Biraghi, "Il Messaggero", febbraio 1960). "Visto a distanza, col senno del poi, 'La dolce vita' fa figura di spartiacque nel panorama del cinema italiano del dopoguerra. In un certo senso, anzi ne segna la fine, e l'inizio di una nuova epoca. La sua importanza e il suo significato possono essere riassunti in questi punti: 1) rappresentò, nella carriera del suo autore, l'approdo alla maturità espressiva; 2) contribuì a quel rinnovamento dei modi narrativi che fu il fenomeno più vistoso nel cinema degli anni sessanta; 3) ripropose, come già avevano fatto Rossellini prima e Antonioni poi, quel problema del neorealismo e del suo superamento che in quegli anni costituì la cattiva coscienza - e, in qualche caso, il tormento - della critica cinematografica italiana; 4) segnò una svolta fondamentale nella storia della libertà d'espressione in campo cinematografico." (Morando Morandini, in "Storia del cinema" a cura di Adelio Ferrero, Marsilio, 1970). "C'è dunque una differenza profonda tra 'La dolce vita' e le altre opere di Fellini, ma è una differenza di quantità, non di qualità. Vi appaiono personaggi di tragedia, vi si agitano passioni dalle proporzioni inconsuete che Fellini non ci aveva mai raccontato, ma a cosa porta tutto questo accumularsi di materiali nuovi? Sembra che saggiando fino in fondo - su misure mai prima raggiunte - la inconsistenza (la "vanità") della realtà cosiddetta vera (l'idolo dei realisti, a cui tutto andrebbe sacrificato), Fellini voglia, una volta per tutte, sgombrare il campo dagli equivoci e darci la risposta che più gli sta a cuore, offrirci in forma definitiva, lacerante e incontrovertibile, la sua dichiarazione di fede. La realtà è questo vuoto, questo nulla, questa materialità vacua. Quindi la scintilla del sentimento, la vitalità dello spirito, il vero esistere non può che scoccare nel momento della sconfitta della realtà stessa. La vita dell'anima si accende come un palpito nel momento in cui si rimpiange - attraverso la documentazione agghiacciante della inconsistenza del reale - un bene perduto (Zampanò); ma si accerta ancor più angosciosamente quando si è giunti attraverso l'esperienza "radicale" della materialità, al fondo dell'abiezione. Allora la vera realtà - il trascendente (finale di La dolce vita) - appare come una folgorazione; irraggiungibile e incomunicabile, ma appare." (Carlo Lizzani , "Il cinema italiano 1895-1979", Editori Riuniti, 1980).